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L’EFFETTO DEL CAFFE’ SUL CUORE

Roberto Lacarbonara SALUTE & BENESSERE domenica, settembre 29, 2019

Tre tazzine di caffè al giorno proteggerebbero le arterie. È quanto suggeriscono i risultati di studi recenti, per un consumo limitato entro le 5 tazzine al giorno.

Il dibattito sugli effetti, benefici o dannosi, del caffè sulla salute del cuore è sempre aperto. È stato effettuato un ampio studio condotto dal Kangbuk Samsung Hospital di Seoul, in Corea, pubblicato sulla rivista Heart. La ricerca parlerebbe a favore della bevanda attribuendo al caffè proprietà preventive contro l’aterosclerosi.

Un moderato consumo di caffè si associa a una minore incidenza di aterosclerosi alle arterie coronariche, ovvero garantirebbe loro più salute allontanando il rischio di malattie cardiovascolari importanti, l’infarto del miocardio e l’ictus cerebrale. Sono queste le conclusioni di una vasta ricerca coreana che ha arruolato 25 mila persone sane, di età media 41 anni, residenti in Corea del Sud, tutte abituali e regolari consumatrici di caffè ma a quantità differenti, conosciute attraverso un questionario ad hoc. «Lo scopo della ricerca – ha precisato Yoosoo Chang del Department of occupational and environmental medicine del nosocomio di Seoul e fra le autrici dello studio – era valutare l'associazione tra consumo di caffè e presenza di calcio coronarico, un indicatore precoce di aterosclerosi delle arterie che nutrono il miocardio.

L’indagine ci ha consentito di osservare che un consumo medio di caffè di 1,8 tazze giornaliere si correla a una prevalenza di calcio coronarico in oltre il 13% dei partecipanti». Il monitoraggio nel tempo dei quantitativi di caffè assunti, ha permesso ai ricercatori di stabilire che dalle tre alle cinque tazze di caffè giornaliere sono sufficienti e idonee a mettere al riparo le arterie dal rischio di sviluppare occlusioni (placche), ovvero in queste quantità si registrerebbero i valori più bassi di calcio (pari a 0.59), rispetto a un numero di tazzine superiore o inferiore. «I dati ottenuti - conclude la ricercatrice - fanno pensare a una associazione inversa tra consumo di caffè e rischio di malattia cardiovascolare, la quale però deve essere confermata da ulteriori studi».

In Italia si concorda con gli esiti coreani. Infatti una metanalisi, pubblicata sull’European Journal of Epidemiology, concluderebbe che il consumo di caffè in adeguate quantità induce la riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause, di insorgenza di alcuni tumori in particolare del colon-retto e del fegato, e di sviluppo di malattie cardiovascolari. Buone notizie quindi per gli italiani, modesti consumatori della bevanda (il più altro introito di caffè si registra infatti nei Paesi Scandinavi e in Nord America) che ne debbono però in ogni caso limitare l’assunzione a 2-5 tazzine giornaliere al massimo. Con qualche precauzione: «Il caffè – raccomanda Carlo La Vecchia, ordinario del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità dell’Università di Milano - non andrebbe consumato da chi ha disturbi del sonno, specie nelle ore serali perché l’emivita della caffeina è di 1-2 ore e potrebbe influenzare la fase dell’addormentamento, in caso di alcune aritmie cardiache o dalle donne in dolce attesa che di norma comunque lo evitano».

Conta però anche il tipo di caffè perché la caffeina contenuta può essere sensibilmente differente: «Il caffè americano - precisa l’epidemiologo - contiene circa il doppio di caffeina (100-120 mg) del caffè espresso, sia normale che in cialde (circa 50 mg). Di contro il decaffeinato non contiene caffeina, se non in tracce, in quantitative pari a 1-2 mg, ed è indicato soprattutto la sera o per chi soffre di insonnia. In genere, più è il tempo di transito e la quantità di liquido, più elevato è il contenuto totale di caffeina e altre sostanze». In ogni caso tranquillizza sapere che pochi italiani bevono più di cinque tazze al giorno, quindi i rischi di sovradosaggio sono sporadici, considerando anche che un caffè espresso è un mezzo caffè, mettendo quindi anche più al sicuro da eventuali (e magari non ancora attestati) effetti collaterali.

 

Tratto dall'articolo dell’11 novembre 2015 di Francesca Morelli su Fondazione Umberto Veronesi

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